A noi, scettici, agnostici, indifferenti e scanzonati che meditavamo di avere visto tutto nel teatro dello spreco, delle anomalie dei disservizi e dell’orrore che rappresentano la malasanità italiana. Ci sbagliavamo perché al peggio non c’è mai fine. Numerosi casi di ataviche disfunzioni del Servizio Sanitario Nazionale ci confermano che nel nostro Paese esistono e convivono due sanità diverse: quella del Nord, con la sua diffusa efficienza e qualche fatale caduta, e l’altra, la sanità del Sud, troppo spesso arretrata e pericolosa. In pratica convivono sotto lo stesso tetto realtà avanzate (molto spesso altezzose) e luoghi sanitari da Nicaragua. Quanto affermo può sembrare ruvido e sgradevole, soprattutto per me che sono meridionale, ma proprio perché conosco una certa mentalità territoriale sono certo di quello che affermo, come pure sono conscio che anche nel Meridione esistono isole felici e medici straordinari. I numeri di quella che è una vera e propria emergenza sanitaria sono ancora più tragici di quanto il cittadino comune può immaginare. Più che dati di un Paese civile e industrializzato sembrano quelli di un paese perpetuamente in guerra. Ogni anno muoiono nel nostro Paese a causa della malasanità dai 30 ai 35mila pazienti, che equivalgono più o meno a 90 decessi al giorno. Una mattanza. E il problema non sono solo le strutture, i muri, gli apparecchi, i cartelli appiccicati con il cerotto di tela rossa, i corridoi sporchi di mozziconi e lattine, ma le persone. L’informazione fornita attraverso i media è distorta, perché esalta assai acriticamente i trionfi, bastona malasanità e colpe presunte, fa titoloni e scandali ma pochissima e superficiale informazione. Nessuno ha il coraggio di dire che la distorsione parte da lontano sin dalla fase di reclutamento dei futuri medici. Nei Policlinici universitari il SSN malato di lottizzazione partitica si accoppia more uxorio con la facoltà di medicina dell’Ateneo. L’Università italiana, infatti, soffre di una forma grave di nepotismo, definita meglio come “familismo accademico”, che i docenti pretenderebbero di vendere come “logica di scuola”. Come pure partono da lontano gli endemici buchi di bilancio causati da anni di cattiva gestione del comparto sanità in alcune regioni del Sud Italia.
Questi, restano sconosciuti alla maggioranza dei Meridionali perché ciò che con ricorrente puntualità viene reso noto dai responsabili dai vari assessorati regionali sono cifre vaghe, per nulla rappresentative della reale dimensione del disastro con il quale dovranno confrontarsi i cittadini del Sud Italia nei prossimi anni. Spreco e inappropriatezza sono queste le parole d’ordine che vigono al Sud. Guardando a caso il piano sanitario di una di queste regioni, cioè della regione Calabria, si scopre che questa ha il record delle ospedalizzazioni, 230 ricoverati ogni 1000 abitanti su una media nazionale di 180, ma anche che tutte le 11 aziende sanitarie della regione hanno una spesa in farmaci superiore alla media nazionale. Qui la spesa sanitaria occupa il 60 per cento del bilancio regionale.
Continuando ad analizzare le pagine del piano si scopre che la struttura ospedaliera continua a essere nel complesso sovradimensionata e che il numero di strutture pubbliche insistenti sul territorio è assai rilevante e non mancano strutture mai completate e mai utilizzate, ma soprattutto che la spesa per l’assistenza ospedaliera assorbe risorse in misura assai superiore rispetto al parametro di fabbisogno nazionale. Nel piano non c’è scritto, ma, si evince che in proporzione, la Calabria ha più personale sanitario del Lazio, della Campania, della Sicilia e perfino della Lombardia. Tutti questi sprechi, non hanno certamente contribuito a salvare vite umane. Si vuol continuare a ignorare quello che sta inquinando e deteriorando la sanità pubblica del nostro Paese, cioè, l’invadenza della politica che vede la sanità pubblica come un territorio dove distribuire piaceri per raccogliere consensi. Vale per il Sud, vale per il Nord e per le regioni di tutte le coloriture politiche.
L’intero arco costituzionale ha confermato una logica di spartizione politica e di potere nella scelta dei primari e dei direttori generali. Dei direttori sanitari e amministrativi delle Asl e degli Ospedali. L’ignaro cittadino ha il diritto di sapere che il primario che lo sta operando ricopre quella carica perché capace, responsabile e preparato e non raccomandato.
Ma tutto questo succede? La meritocrazia e non la partitocrazia deve diventare il primo e unico metodo di giudizio, altrimenti la nostra sanità soffrirà sempre di mediocrità e di inefficienza. Intanto che le cose cambino, politici, medici, Università, amministratori di ospedali e industrie farmaceutiche, continuano a vivere a stretto contatto tra loro in una sorta di balletto, definito in maniera molto pittoresca come “danza del porcospino”. Prima o poi ci si punge.
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