Se trenta anni sono sufficienti per la verifica di efficacia o fallimento di un provvedimento di interesse pubblico, credo si sia ora legittimati a dichiarare il fallimento della legge 833/78, la riforma sanitaria con la sua ispirazione di fondo di migliorare lo stato generale di salute nel Paese. Nasceva con un presupposto vivo nella cultura dell’epoca e cioè che un sistema sanitario si intende riuscito se la salute nella collettività sale sensibilmente di livello rispetto alle malattie. La razionalizzazione che si intendeva dare con quella legge aveva questo obbiettivo principale. Le statistiche dopo trent’anni ci dicono due cose fondamentali: l’aumento dei malati e l’aumento della spesa sanitaria; tutto ciò con l’incremento enorme di personale sanitario medico e non medico, di installazioni e presidi sanitari, di strumentazioni per la diagnostica e per la cura. Certamente è da considerare il dato statistico dell’aumento della speranza di vita con naturale incremento delle patologie di tipo degenerativo legate all’avanzare dell’età. La maggiore durata della vita si può far risalire a due coefficienti fondamentali, l’uno legato al modello sociale con i suoi agi quali la locomozione con mezzi di trasporto ed il comfort ambientale (soleggiamento, termoregolazione,ecc.), disponibilità individuale di spazio e di reddito, il miglioramento dell’intervento sanitario in tempo utile ed anche la minore natalità insieme al doppio reddito familiare; l’altro dipendente dalla trasformazione del modello produttivo che ha visto ridursi l’usura fisica con le innovazioni tecnologiche e con l’incremento del terziario.. Se, però, analizziamo nello spaccato la fascia di età superiore ai 70 anni, che era il limite massimo generale della durata della vita negli anni ’70 del ‘900 ( la categoria lavorativa più longeva all’epoca era quella degli insegnati ed impiegati statali e l’Enpas, loro istituto assicuratore per la vecchiaia, poneva questo limite per il pensionamento e di conseguenza era un’istituzione con conti in attivo, per lo più pagava pensioni di reversibilità), la maggiore longevità può essere anche annoverata tra gli effetti favorevoli dell’incremento della medicalizzazione della salute, senza, però, tener conto della qualità della vita spesso in contrasto con la positività di vivere più a lungo.
Un prolungamento della vita e della malattia, non certo una conquista in termini di salute, che frequentemente si accompagna a limitazioni funzionali, fino ad essere talora un prolungamento della vita biologica nel decadimento della persona. Per altro verso, questo decadimento trova anche una componente sociale legata allo stereotipo dell’anziano creato dall’invenzione di tale categoria artificiale (in natura esiste infanzia, adolescenza, giovinezza, maturità e vecchiaia) con l’istituzione del pensionamento per anzianità (1889, legislazione Bismark). Lo stereotipo condiziona in genere nei rapporti sociali il pensionato, che esce dal ruolo produttivo, ideologia della società corrente, ed entra spesso in una condizione anomica, che lo porta a ridurre l’impegno delle sue funzioni biologiche e talora anche mentali; concentrato sulla sua salute fisica, diventa assiduo fruitore di servizi sanitari e sociali. Mentre la fisiologia ci insegna che tutti gli organi di cui si compone il nostro organismo mantengono l’efficienza se sono esercitati entro un range, che ha un limite massimo di carico, ma ha anche una soglia di sottocarico e se si va sotto questa soglia l’organo deperisce. La filosofia di fondo della legge 833 era diretta all’obbiettivo dell’aumento dei livelli di salute generale, che avrebbe da una parte migliorato la qualità della vita delle persone, dall’altro versante avrebbe dovuto necessariamente veder calare la domanda di prestazioni sanitarie.
Era anche nelle intenzioni che il personale sanitario si dedicasse alla prevenzione, analizzando i comportamenti a rischio dei pazienti loro affidati ed indicando ad essi le vie per evitare occasioni che potessero danneggiare la persona, provocare malattie. Si è fatto per lo più solo per la profilassi delle malattie infettive, cioè solo per un aspetto squisitamente medicale e qualche intervento dell’Istituto Superiore di Sanità e dello stesso Ministero riferito a norme igieniche di vita. E’ venuta meno la speranza di aumentare il rapporto personalizzato medico/paziente, ruolo che si intendeva affidare al medico di base, che non solo avrebbe dovuto gestire tutti i supporti specialistici per costruire la diagnosi, ma anche la cura. E si pensava che quest’alleanza medico paziente avrebbe prodotto risparmio delle spese inutili che già incominciavano a profilarsi nella gestione mutualistica con analisi e visite specialistiche a pioggia, spesso causa più di confusione che di chiarezza, segmentazione specialistica dell’individuo della cui unità, della cui interdipendenza di organi e funzioni nessuno si faceva carico.
Siamo invece giunti all’incomunicabilità tra medici e medico-paziente con un enorme aumento delle spese inutili, tra cui va annoverato anche l’eccesso di ospedalizzazione e la mole di farmaci che finiscono nella spazzatura.
In più, diffusa la medicalizzazione della salute in questi trent’anni, sembra si sia giunti alla generale convinzione che ognuno è sostanzialmente malato e può capitare che sia sano. Non è più la malattia l’eccezione, ma è lo star bene. Convinzione che forse coinvolge anche il mondo medico: accade non raramente che qualcuno si reca a visita dal medico per qualche malessere transitorio clinicamente non ascrivibile a malattia ed esce dal gabinetto del medico insoddisfatto se non riceve una diagnosi ed una ricetta. Un po’ di preservazione della salute lo fa la struttura mercantile del fitness, ma ha un target limitato e, peraltro, sembra più concentrato sull’apparire e sulle mode.
Va detto che già in sede di programmazione sanitaria nazionale dalla sua istituzione (primi mesi del ’79) non fu impostato in modo prescrittivo un progetto di educazione alla salute, viste le risorse appena sufficienti per mettere in qualche ordine la struttura sanitaria esistente e cercare al meglio di adeguarla al fabbisogno di risposta medica alla cittadinanza. Peraltro neppure la legge, pur se nei principi affermava l’obbiettivo della salute, non lo poneva come esigenza primaria rispetto al suo recupero medicale. Anzi, va detto che nonostante la cultura dell’epoca già evidenziasse che la salute e la sua conservazione non sono oggetto esclusivo della medicina nella sua operatività, perché i provvedimenti a monte afferiscono ad altri settori della gestione pubblica, come fogne e rifiuti, inquinamento ambientale, modalità della produzione e dei consumi, modalità dell’esercizio lavorativo o non suo esercizio per disoccupazione involontaria, strutture abitative e del lavoro, reddito, ecc. In una parola la salute delle persone è variabile dipendente di una serie di fattori al di fuori di quelli strettamente medici. D’altra parte è noto che si arrivò anche ad un referendum che aboliva il Ministero della Sanità, ma si ebbe solo il suo cambio di nome, si chiamò Ministero della Salute, un formula ancorché velleitaria, fallace, perché come si è detto la salute richiede attenzione e provvedimenti pluridisciplinari di governo. Si è continuata la confusione tra salute e servizio sanitario, che al massimo può rientrare tra competenze di enti locali. Mentre la salute psicofisica dell’intera popolazione del Paese è strettamente rapportata alla condizione ambientale e sociale generale, comprendendo in essa anche consuetudini e suggestioni mercantili afferenti, potendosi solo escludere malattie e malformazioni genetiche ed ereditarie e le malattie diffusive.
Non dimentichiamo che il Ministero della Sanità fu inventato nel marzo ‘958 e che fino ad allora esisteva un Comitato Interministeriale e c’era una rete di medici provinciali ed ufficiali sanitari che si caricavano degli aspetti pubblici dei problemi sanitari. A quell’epoca i medici poco pressati dagli interessi commerciali, che poi sono straripati nell’ambito sanitario, avendo contatti molto personalizzati con i loro clienti erano in condizione di dare suggerimenti di vita igienica preventivi di patologie nell’ambito delle conoscenze scientifiche dell’epoca. Lo facevano i medici condotti ed anche i liberi professionisti che erano attenti nel formulare il sospetto diagnostico nella richiesta di esami e consulenze, anche per evitare pensieri maliziosi e caduta di fiducia nei clienti di fronte a prevalenza di referti negativi di indagini pagate con la loro tasca, rispetto a quelli afferenti alla loro malattia. Ma poi vennero le Casse Mutue ed il panorama cambiò.
Tuttavia, non va trascurato che la medicalizzazione della salute è diffusa nel mondo occidentale e, riteniamo, su di essa pesa molto il mercantilismo ed consumismo straripato nella seconda metà del Novecento e che va ingigantendosi nell’attuale globalizzazione dei mercati senza regole.
Possibilità di mettere un argine all’attuale estrema medicalizzazione della salute esistono ancora, ma non passano attraverso le ipotesi di organizzazione dei servizi e contenimento della spesa sanitaria, che al limite possono essere forse efficaci per correggere palesi incapacità e distorsioni nella gestione del sistema, ma non sono la soluzione del problema.
E’ il sistema che non va. E’ il sistema che va cambiato. Il problema della salute, la penuria di salute deve uscire dalla logica propria del mercantilismo, che si regge sulla penuria che fa prezzo e profitto. Serve una svolta culturale che ponga al primo posto la visione olistica dell’individuo nel suo ambiente naturale, culturale e sociale e poi la politica potrà creare norme di comportamento e leggi.
Ma ciò richiederebbe uno sforzo culturale e morale che non siamo certi che la classe dirigente del Paese nel suo complesso abbia volontà e capacità di esprimere e sollecitare nel Paese, pur se, riteniamo, sarebbe compresa e sostenuta dal mondo medico avveduto che soffre tutti i giorni nell’espletamento della sua professionalità stretto da vincoli di ogni genere. Un impegno del genere avrebbe certamente il conforto dalle stesse Università di Stato (se ritornano nel numero della decenza) che per definizione non hanno interessi mercantili. All’Istituto Superiore di Sanità ed all’Ispesl andrebbero affiancate Università Statali, con le loro possibilità pluridisciplinari mediche e non mediche e con collaborazioni internazionali sicuramente senza compromissioni mercantili, andrebbe affidata l’elaborazione di un progetto salute, da porre a monte di ogni disegno di organizzazione di servizi sanitari per la popolazione, da non considerare soltanto dal versante del contenimento della spesa senza entrare nel merito delle sue cause.
Ci vorrebbe volontà politica di ascoltare la scienza medica (quella autorevole come può rilevarsi da pubblicazioni ad alto impact factor e con valutazioni incrociate e da brevetti di strutture di ricerca esclusivamente pubbliche e non delle tante istituzioni di ricerca sostenute da capitali privati o che comunque abbiano finalità di profitto), soprattutto richiedendo agli addetti alla costruzione del progetto, scelti tra chi non ha compromissioni commerciali o di carriera, di concentrasi sulla fisiologia umana prima di guardare alla patologia.
La mano pubblica dall’altra parte dovrebbe essere anche disposta poi a rispondere alle indicazioni di modifica dell’ambiente naturale e sociale necessarie per assecondare la fisiologia, senza dover rincorrere le sue compromissioni.
Il Servizio Sanitario dovrebbe essere per ciò che è malattia e non evitabile. Peraltro, in un sistema di servizi sanitari erogati erga omnes è inconcepibile che l’erogatore della spesa (lo Stato, ma in pratica il danaro della collettività) non sappia perché spende o lo sa solo dalla voce degli erogatori del servizio, magari a mezzo delle loro associazioni e dei loro mezzi di informazione. E’ la politica che deve pretendere dalla scienza medica un progetto che si sviluppi con l’obbiettivo di più salute e meno malattie. Se al contrario si vuol continuare ad assicurare ai cittadini prodotti ed abilità tecniche, sarebbe più logico che il Ministero della Salute passasse la mano ai Ministri delle attività produttive e del commercio ed agli uffici di collocamento.
Ma di questo discuteremo in prosieguo.
*Già componente della Programmazione Sanitaria Nazionale nei primi due trienni della sua costituzione e del Direttivo del Centro Studi del Ministero della Sanità.
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